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Mercoledì, 24 Aprile 2024
NUCLEARE NELLA TUSCIA

Il Comune si costituisce per dire no al deposito nucleare: “Rifiuti ad alta radioattività in superficie per più di 40 anni. La popolazione sarà esposta a rischi”

Gli esperti spiegano in aula tutti i rischi a cui potrebbero essere esposti i viterbesi e l’ambiente

Rischi e benefici del nucleare nella Tuscia, oggi se ne è parlato in Consiglio comunale. Gli esperti chiamati ad esporre le proprie ragioni in aula, stamani, si sono concentrati più sui pericoli che sui benefit. Come noto, la società di Stato Sogin, incaricata del decommissioning degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, ha inserito 22 siti della provincia di Viterbo nella Cnapi, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee ad ospitare il deposito unico nazionale. Un maxi centro dove stoccare migliaia di metri cubi di scorie radioattiva a bassa, media ed alta intensità. Un edificio che, ad oggi, non esiste né in Italia nè nel resto d’Europa. La discussione ha portato ad un evento di rilevanza assoluta: il Comune si costituirà in giudizio contro un'ipotetica individuazione della Tuscia ad ospitare il deposito. Un risultato targato Luisa Ciambella, che dall'opposizione è riuscita a far svolgere l'assemblea odierna e a far convergere tutti sulla sua posizione.

Il professor Angelo di Giorgio ha spiegato il suo punto di vista, a suo dire suffragato da studi internazionali e provvedimenti presi da altri paesi: “Servono 100 anni per edificare un deposito che abbia una profondità sufficiente ad ospitare scorie ad alta radioattività, ossia 95mila metri cubi, 78mila in superficie e 17mila in profondità. La legge 31/2010 dice che si deve costruire deposito unico che contenga rifiuti, valutando eventuali rischi ambientali e benefici economici. A che punto siamo? Siamo partiti il 5 gennaio 2021, quando è stata pubblicata la Cnapi, ma non siamo soddisfatti dal segnale nazionale, dato che tutto è stato gestito autarchicamente da Sogin, al contempo accusata e giudice di sé stessa. Questo è stato il seminario, nessuna relazione condivisa da entrambe le parti. La nostra è una contrarietà tecnica, ora siamo nella fase di prossimità all’esternazione definitiva della Carta. 58 dei 67 siti confermati, ma qual è la soluzione tecnica di Sogin? Un deposito nazionale un parco tecnologico, diviso in 100 ettari per la bassa attività e 40 ettari dove saranno stoccati per 100 anni i materiali ad alta attività. Nessuna legge ha previsto che sia possibile mantenere in un deposito superficie materiale ad alta radioattività, questo vuol dire 3 generazioni subiranno rischi concreti di esposizione alle eventuali radiazioni e ad altri rischi. I 14 comuni della Tuscia selezionati sono principalmente ad ovest, sul versante tirrenico. Per me ci sono incoerenze fra quadro normativo e la progettività Sogin, oltre ad errori metodologici nell’elaborazione della Cnapi come i criteri d’idoneità. Inoltre, mancano totalmente le valutazioni sui rischi per la salute e per i danni economici”.

Le parole del professore hanno spaventato il dem Alvaro Ricci, che ha detto: “È come se fossimo già in situazione di pericolo, dunque”.  L’altro esperto ad aver parlato è stato l’ingegnere nucleare Massimo Gobbi, del comitato Montalto Futura: “Avere un deposito a media ed alta attività non è la cosa migliore, anzi,  è abbastanza pericoloso. Oggi abbiamo la necessità di mettere in qualche posto queste scorie in attesa del famoso deposito definitivo, ma ci vogliono anni, 100 anni per la precisione. C’è una normativa che prevede di immagazzinare a titolo provvisorio di lunga durata, è vero, ma non dice in superficie. In Italia c’è già un sito a 700 metti di profondità che era ritenuto idoneo come temporaneo e come definitivo, invece stavolta per la Tuscia ne viene menzionato uno in superficie, per problemi di costo e di tempo ma non per la sicurezza. Ma quanto dura questa provvisorietà? Dura tanto, l’esercizio previsto è di 40 anni, l’operatività invece 300 anni, per fare decadere le radioattività dei rifiuti a bassa attività. Il rischio che diventi definitivo, quindi, è concreto. Con problematiche per ambiente e cittadini. Oltre ai rischi legati al trasporto delle scorie, le quali dovrebbero percorrere svariate migliaia di chilometri per giungere a destinazione, con il pericolo di incidenti durante la movimentazione. La rottura di un contenitore può portare all’emissione di radioattività all’esterno e pregiudicare la sorveglianza di altri contenitori, innescando un potenziale effetto a catena. Tra l’altro, il deposito può anche diventare un obiettivo militare e terroristico”. 

Gobbi ha poi parlato dei criteri con i quali Sogin ha indicato i 22 siti viterbesi: “Alla fine sono state selezionate solo aree agricole. I siti di ricerca sono stati tagliati fuori”. L’esperto ra alcuni esempi: “Escluse aree ubicate ad un’altitudine maggiore di 700 metri sopra il livello del mare,  quelle con versanti con pendenza maggiore del 10% e quelle sino ad una distanza di 5 km dalla linea di costa. Perché? In base a quale considerazione tecnica o scientifica? Non ci è molto chiaro”. Poi ha analizzato i dettagli di costruzione: “Parliamo, per esempio, di un deposito definitivo a bassa attività. Perché, è bene ripeterlo, di depositi geologici ad alta attività di profondità, in Europa e nel mondo, non ne esistono. 78mila metri cubi di rifiuti, ossia 500,000 tonnellate di cemento. La durata, come detto, vai dai 40 anni in sù e la sorveglianza andrà garantita per 300 anni. In tutto 800mila tonnellate di cemento, praticamente. Ed il processo non è reversibile. Il monolito rimarrà per sempre sul territorio, deturpandolo. La vita del cemento è prevista di 350 anni ma non è dimostrato, esattamente come quello che succede nel tempo. C’è pure un paradosso del deposito: si seppelliscono i rifiuti di bassa attività, poco pericolosi, e si lasciano in superficie quello di alta attività, molto più pericolosa”. 

Un’altra cosa su cui gli specialisti ospitati hanno battuto è il disinteresse della Regione Lazio. “La cartografia messa a disposizione di Sogin era totalmente inadeguata, avendone una aggiornata sarebbe stato possibile stoppare subito l’individuazione di luoghi nella Tuscia. A differenza di Emilia, Umbria e Toscana, che ne hanno una fresca e interregionale, il Lazio non può agganciarsi con dati di cui, semplicemente, non dispone. E questo è grave, anche per altri progetti e soprattutto per il futuro”.

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