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Mercoledì, 24 Aprile 2024
provincia Ronciglione

Omicidio Arcuri, la corte di appello: "Da Landolfi volontà diretta ad uccidere, ha voluto con lucida determinazione la morte di Maria Sestina"

I giudici di secondo grado spiegano perché hanno ribaltato la sentenza del tribunale di Viterbo condannando Landolfi a 22 anni di carcere: "Non ha chiamato subito i soccorsi per paura che Sestina potesse raccontare cosa era realmente accaduto"

Cinquanta pagine per spiegare perché ha condannato Andrea Landolfi Cudia a 22 anni di carcere, ribaltando l'assoluzione del tribunale di Viterbo, e perché la morte di Maria Sestina Arcuri non sia stata un incidente ma un omicidio. La corte di appello di Roma ha depositato le motivazioni della sentenza emessa il 21 dicembre scorso.

"La volontà omicida - si legge nelle carte a firma del presidente Vincenzo Capozza - trova riscontro, innanzitutto, nelle modalità della condotta. Il lancio di un corpo dalla sommità della rampa superiore della scala in direzione del piano inferiore della casa è un'azione che difficilmente lascia scampo alla vittima, priva di riparo e difesa". Per i giudici di secondo grado, a differenza di quelli di primo che hanno parlato di un rotolamento di entrambi i fidanzati, Maria Sestina sarebbe stata lanciata dalle scale da Landolfi. Una dinamica che ancorano anche al racconto fatto dal figlioletto dell'imputato, che riportano al centro della questione, e che ritengono l'unica possibile: "L'ipotesi della caduta accidentale - è scritto nelle motivazioni - è contraria alla logica, alle leggi della fisica e agli accertamenti medico-legali sui corpi dell'imputato e della persona offesa".

A inizio febbraio 2019 i fidanzati sono a Ronciglione per trascorrere il weekend a casa della nonna di Landolfi, insieme anche all'anziana e al figlio piccolo di lui avuto da una precedente relazione. Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio i due hanno una brutta lite e Maria Sestina, 26 anni, precipita dalle scale sbattendo la testa. A quel punto "l'unica cosa ovvia e sensata" sarebbe stata "condurre la donna in ospedale", ma "Landolfi - sottolina la corte di appello - non ha prestato alcuna assistenza". "Anzi, i primi momenti dopo la caduta li ha trascorsi a infliggere altre sofferenze alla compagna, insultandola e non curandosi dei lamenti e degli inviti di Sestina a non farle (ulteriormente) male".

Secondo l'accusa, la 26enne inizia subito a rigettare e a perdere sangue dall'orecchio. "Esiste la prova certa (la telefonata con cui Landolfi chiede alla zia cosa fare, ndr) che il sanguinamento era stato constatato dall'imputato almeno due ore prima del momento in cui finalmente si è deciso a chiamare il soccorso sanitario". Per la corte di appello il non aver chiesto subito aiuto rientra in "un lucido piano di Landolfi: quello di temporeggiare fino a quando la povera Maria Sestina non fosse più in grado di raccontare l'accaduto. Tanto è vero che i soccorsi sono stati chiamati quando la ragazza, ormai incosciente, non era in grado di proferire parole sensate". "Landolfi - prosegue la corte - mente agli operatori sanitari circa l'indisponibilità di un mezzo privato allo scopo di salire sull'ambulanza. Un gesto che non ha niente di affettuoso, ma è stato dettato dal timore che Sestina si riprendesse e, in un momento di lucidità, potesse raccontare cosa era realmente accaduto".

Per i giudici di secondo grado "il comportamento" di Landolfi "non lascia dubbi sulla sussistenza della volontà diretta a uccidere la donna". "La chiamata dei soccorsi quando ormai per salvare Sestina non c'era nulla da fare - scrivono nelle motivazioni -, non soltanto connota di peculiare efferatezza il suo comportamento ma consente di inchiodarlo alla responsabilità di aver voluto con lucida determinazione la morte della sua compagna".

Nella sentenza la corte di appello ancora il reato di omicidio a quello di omissione di soccorso. Landolfi "nelle quattro ore intercorse tra la caduta e la chiamata del pronto intervento sanitario, ha visto la situazione (di Maria Sestina, ndr) precipitare e ha volutamente omesso qualsiasi iniziativa, completando la condotta omicidiaria". "Le azioni, e soprattutto le omissioni, da lui compiute non costituiscono soltanto la realizzazione del delitto di omissione di soccorso, ma sono parte integrante dell'imputazione di omicidio".

I giudici poi concludono: "L'imputato, autore del gravissimo ferimento ai danni di Sestina e compagno di vita di quest'ultima, era titolare di un obbligo di protezione nei confronti della stessa, e per le quattro ore successive tutto ha fatto tranne che proteggerla. Egli ha, anzi, omesso qualsiasi iniziativa per cercare di salvarle la vita, completando il suo disegno di morte".

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