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Venerdì, 19 Aprile 2024
OMICIDIO DEL PICCOLO MATIAS / Vetralla

Ha ucciso il figlio di 10 anni, il padre contro la condanna all'ergastolo: "Sentenza ingiusta"

Ricorso in appello del difensore di Mirko Tomkow, che sostiene non sia stata un omicidio volontario ma colposo: "Non voleva uccidere il bambino, ma farlo stare zitto"

Omicidio del piccolo Matias, il padre contro la condanna all'ergastolo: "Sentenza ingiusta". Il difensore di Mirko Tomkow, l'avvocato Pier Paolo Grazini - l'unico rimasto dopo la rinuncia all'incarico dell'altro legale, l'avvocato Sabina Fiorentini -, lunedì scorso ha depositato il ricorso in appello contro la condanna all'ergastolo per omicidio volontario pluriaggravato. Ventisette pagine per spiegare perché, secondo la difesa, si è trattato invece di un omicidio colposo: "La nastratura sul viso del bambino non è stata messa al fine di uccidere ma all'evidente fine di farlo tacere".

Quella emessa l'8 luglio scorso dalla corte d'assise del tribunale di Viterbo, che in primo grado ha condannato Tomkow all'ergastolo con un anno di isolamento diurno per l'omicidio del figlio di 10 anni e per maltrattamenti nei confronti della compagna, è per la difesa una "sentenza, pur nella consapevolezza della indiscussa violenza e gravità dei comportamenti, ingiusta ed illegittima". Secondo il legale, "la sentenza fa di tutto per poter arrivare alla condanna".

L'omicidio è stato commesso esattamente un anno fa: il 16 novembre 2021. Da quel giorno Tomkow, manovale polacco di 45 anni, è recluso nel carcere di Mammagialla. Ha soffocato e accoltellato il figlio nella casa di famiglia a Cura di Vetralla, appena il bambino - poi trovato morto nel cassettone del letto matrimoniale - è tornato da scuola. Un delitto premeditato, secondo i giudici di primo grado ma non per la difesa di Tomkow. Arrivato a Vetralla con un treno dopo essere stato dimesso da un Covid hotel di Roma, il 45enne si è fermato a comprare tre bottiglie di vodka e una tanica di benzina ed è entrato in quell'appartamento a cui non poteva neppure avvicinarsi dopo essere stato allontanato per i continui maltrattamenti nei confronti della compagna nonché madre di Matias. 

"Non voleva uccidere il figlio"

“La prima aggressione a Matias Tomkow - scrive l'avvocato Grazini nell'appello - è avvenuta nel soggiorno di casa. Qui al bambino sono stati sicuramente chiusi gli orifizi nasali e la bocca con il nastro adesivo e, mentre faceva ciò, Tomkow si aiutava con una mano per chiudergli il naso e la bocca. Ed è in questo momento che Matias è deceduto, arrivando già morto alla deposizione nel cassettone e al successivo accoltellamento. La nastratura sul viso del bambino non è stata messa al fine uccidere ma all'evidente fine di farlo tacere. Se l'intento del padre fosse stato in quel momento dolosamente omicidiario - sostiene il difensore -, avrebbe sicuramente usato altri mezzi più immediati, quali lo strangolamento o direttamente il soffocamento oppure avrebbe proceduto immediatamente ad accoltellare il figlio”. “Tomkow – prosegue il legale - non è mai stato, in 10 anni di vita del bambino, violento nei confronti del figlio. Non ha mai usato alcun tipo di violenza, nemmeno verbale. Quindi, il comportamento sarebbe inquadrabile in un comportamento colposo in quanto la morte del figlio, nella prima fase della dinamica della vicenda, non è entrata nel fuoco della volontà del primo. Nemmeno come evento eventuale accettato con indifferenza rispetto al suo verificarsi, con tutte le conseguenze del caso”.

"Non c’è stata premeditazione"

"È illogico - ritiene il difensore - che chi intende commettere un omicidio avvisi sia la compagna che il cognato del giorno del suo arrivo, anche se qualche ora dopo quello effettivo. L’imputato sapeva dove trovare le chiavi di casa e quindi avrebbe potuto appostarsi all'interno, attendere la vittima e poi fuggire, anziché andare ad ubriacarsi nella soffitta e qui farsi arrestare in tranquillità”.

“Appare invece un elemento idoneo ad essere considerato rivelatore della premeditazione - continua il legale -, l’acquisto della benzina” Ma “non può essere considerato da solo come un elemento rivelatore della ideazione del piano criminoso, come fa invece la sentenza che sembra fare di tutto per poter arrivare ad una condanna. Anche il fatto che abbia preso sicuramente il nastro adesivo e il coltello all'interno della abitazione depone a favore di una assenza della aggravante in quanto, per comune intelligenza, chi predispone il piano per attuare un omicidio la prima cosa che fa è dotarsi degli strumenti per uccidere e non rimettersi al caso di rinvenirli sul posto e sceglierli sul momento”.

L'avvocato Grazini, soffermandosi poi sull'ipotesi che l'omicidio sia stato commesso per ritorsione nei confronti della compagna dopo l'allontanamento dalla casa familiare, chiede "perché Tomkow dovrebbe aver premeditato l'omicidio del figlio per nuocere alla fidanzata e non uccidere direttamente quest'ultima. Se l’imputato avesse voluto fare del male a Marjola Rapaj, non aveva necessità - sostiene il legale - di aspettare il figlio e di ucciderlo ma sarebbe bastato più semplicemente uccidere direttamente la fidanzata, di cui conosceva perfettamente le abitudini e gli orari e che non avrebbe avuto nessuna difficoltà a sopraffare fisicamente e a sorprendere”.

"Tomkow soffre di mal di vivere"

L’avvocato sottolinea “la incensuratezza del prevenuto, sia in Italia che nel suo paese di origine. Tomkow ha sempre lavorato in modo esemplare da quando è giunto in Italia, alzandosi dal letto alle 5 del mattino e tornando alle 19 a casa. Solo grazie alle sue fatiche il nucleo familiare ha acquistato una casa cointestata ad entrambi i conviventi. Lo stipendio da muratore che percepiva (circa 1200 euro al mese) costituiva l'esclusivo introito monetario del nucleo familiare”.

“Anche l'etilismo, che ha sempre fatto parte della vita di Tomkow, ha avuto una parte importante in tutta questa vicenda. Unito al fatto che l'imputato soffriva di disturbi predominanti della emotività che, pur senza avere la valenza di una patologia psichiatrica, non sono comunque patrimonio di tutti gli esseri umani ma sono comunque un indice di una anomalia psichiatrica che lo ha portato anche a simulare due tentativi di suicidio pur di richiamare l'attenzione, sono un indice di un disagio psico-fisico importante che potrebbe essere valutato a favore della concessione delle attenuanti generiche. È vero anche che il prevenuto mostrava disinteresse (non violenza fisica o verbale) nei confronti del figlio, ma questo atteggiamento ben potrebbe essere stato motivato dalla stanchezza dovuta agli orari di lavoro e alla pesantezza fisica delle mansioni ed anche a questa situazione di disagio, di "male di vivere", in cui Tomkow si muoveva e che cercava di nascondere sul luogo di lavoro”.

"No alla condanna per maltrattamenti in famiglia"

“Per poter arrivare a una sentenza di condanna, occorre una condizione di abituale prevaricazione, vessazione e limitazione della libertà della persona offesa e non una serie di situazioni episodiche. Non vi è la prova di un minimo maltrattamento fisico, se non le dichiarazioni della persona offesa che individuano episodi risalenti a 5 o addirittura a 10 anni prima. Manca quella sopraffazione continua e sistematica e programmatica e abituale che dove caratterizzare il reato di maltrattamenti che deve essere teso a rendere disagevole e quanto possibile penosa resistenza dei familiari”. Il difensore chiede la “assoluzione dell'imputato dal reato di maltrattamenti in famiglia”.

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