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Economia

Nella Tuscia chiuse 63 imprese femminili, le aziende guidate da donne sono il 27% del totale

È quanto emerge dal quinto Rapporto sull'imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il centro studi Tagliacarne e Si.Camera

L’Alto Lazio si conferma un territorio ad alto tasso di imprenditorialità femminile, nonostante una congiuntura di breve periodo poco favorevole per la Tuscia e soprattutto per il Reatino. La provincia di Viterbo si posiziona all’ottavo posto nazionale per incidenza delle imprese femminili sul totale (27,3% con 10mila 378 imprese femminili rilevate al 30 giugno di quest’anno) e quella di Rieti si colloca al 12esimo (26,3% con 4mila 13 imprese femminili). È quanto emerge dal quinto Rapporto sull’imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il centro studi Tagliacarne e Si.Camera.

Per quanto riguarda l’Alto Lazio, nel secondo trimestre 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021, il numero delle imprese femminili si è ridotto di 115 unità nel Reatino (-2,8%) e di 63 unità nella Tuscia (-0,6%), in controtendenza rispetto al dato nazionale che, anche se poco, cresce di 1727 unità (+0,1%).

Analizzando i settori, nella provincia di Rieti troviamo molti segni meno, ad eccezione di alcuni comparti collegati al terziario. Tra i più significativi troviamo i servizi di informazione e comunicazione (+8,8%), servizi finanziari ed assicurativi (+1,6%), attività professionali e tecniche (+4,8%), servizi sanitari (+1,3%) ed i servizi personali (+1,1%). In Tuscia maggiormente diversificati i settori con incrementi d’impresa, a partire dal settore delle costruzioni che, seguendo il trend della componente maschile, cresce del 2,3%. Per gli altri assume particolare rilevanza l’incremento nell’ambito delle attività turistiche e di somministrazione (+0,6%), attività immobiliari (1,1%), attività professionali e tecniche (3,2%), servizi sanitari (+9,9%) e servizi personali (+0,5%).

Il Rapporto sull’imprenditoria femminile, presentato a Roma, a livello nazionale vede le imprese femminili sugli scudi per quanto riguarda la voglia di innovazione, anche se evidenziano una minore capacità di sopravvivenza.

La ripresa post pandemia ha convinto un ulteriore 14% di imprese femminili a iniziare a investire nel digitale (a fronte dell’11% delle aziende maschili) e un 12% a investire nel green (contro il 9%). A queste si aggiunge, in misura equivalente alle imprese non femminili, un 31% di aziende che ha aumentato o mantenuto costante gli investimenti in tecnologie digitali in questi anni, e il 22% che ha fatto altrettanto nella sostenibilità ambientale (contro il 23% delle altre imprese). Le donne d’impresa, quindi, si sono lanciate nella duplice transizione che le politiche europee sostengono con forza e che rappresenta il core del Pnrr italiano. Ma non senza difficoltà. La metà delle imprese femminili, infatti, ha interrotto gli investimenti o addirittura esclude di volerli avviare nel prossimo futuro. Le analisi effettuate mostrano anche che le imprese femminili hanno una minore capacità di sopravvivenza: a tre anni dalla loro costituzione, restano ancora aperte il 79,3% delle attività guidate da donne, contro l’83,9% di quelle a guida maschile e, dopo cinque anni, la quota delle imprese femminili che sopravvivono è del 68,1%, contro il 74,3% delle altre. Questo in sintesi il quadro che viene dal rapporto nazionale.

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