Un mese e mezzo per pagare i debiti, le amministrazioni pubbliche di Viterbo le più ritardatarie del Lazio
Il capoluogo non rispetta il limite temporale per saldare i debiti commerciali: ecco le conseguenze
Il 35% dei capoluoghi di provincia italiani ha sforato nel 2022 il limite temporale entro cui dover saldare i debiti commerciali. C'è anche Viterbo tra le amministrazioni pubbliche che sono lontane dall'adeguarsi a quanto disposto dalla norma di riferimento che prevede che i debiti commerciali debbano essere saldati entro 30 giorni dalla data di ricezione della fattura o richiesta di pagamento. È quanto emerge da una ricerca del Centro studi enti locali (Csel) su dati raccolti nell'ambito di una ricognizione che ha avuto per oggetto gli indici di tempestività dei pagamenti 2021 e 2022 pubblicati sui siti istituzionali delle città capoluogo di provincia.
In centro Italia il 62% ha saldato i propri debiti entro un mese, il 35% ha sforato e il 3% non ha ancora provveduto a pubblicare il dato complessivo 2022. Nel Lazio, fuori dal tetto Viterbo (media di 46 giorni, la più alta a livello regionale) e Frosinone (40 giorni). Sul filo del rasoio, invece, la Capitale: indice di tempestività dei pagamenti pari a 0,66, quindi ha sforato di meno di un giorno la media di 30 giorni.
L'unica provincia laziale virtuosa è Latina, che ha saldato i propri debiti commerciali mediamente a 24 giorni di distanza dalla ricezione delle fatture. Non conoscibile il dato di Rieti, che non ha ottemperato all'obbligo di pubblicazione dell'indice di tempestività dei pagamenti 2022.
Tra i soggetti che da tempo stanno facendo forti pressioni affinché i tempi dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche vengano contratti, c'è anche la Commissione europea che ha avviato una procedura di infrazione inviando lettere di costituzione in mora all'Italia per la non corretta attuazione della direttiva sui ritardi di pagamento. La Commissione ha evidenziato come le lungaggini abbiano "effetti negativi sulle imprese in quanto ne riducono la liquidità, ne impediscono la crescita, ostacolano la loro resilienza e potenzialmente vanificano i loro sforzi per diventare più ecologiche e più digitali".