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Matteo Scarlino

Direttore responsabile RomaToday

Le indicazioni per le elezioni regionali dopo il voto nazionale del 25 settembre

L'alleanza Pd-M5s, il ruolo del terzo polo, la pancia piena di Fratelli d'Italia dopo il successo elettorale, l'irrilevanza della Lega. Tutti i nodi da sciogliere in vista delle regionali

Chiuse le urne nazionali, si apre la partita per il voto regionale. Nicola Zingaretti attende solo l'ufficialità dell'elezione per procedere alle dimissioni, dando così il via all'iter che dovrebbe portare alle elezioni ad inizio 2023. Gennaio, o più verosimilmente febbraio, i mesi da segnare in rosso sul calendario. Di certo la partita è aperta da tempo ed è solo finita in stand-by in questo periodo di campagna elettorale nazionale. 

Centrodestra e centrosinistra, dove eravamo rimasti

Nel centrodestra si è deciso, nell'ambito di un accordo nazionale, che ad indicare il candidato presidente sarà Fratelli d'Italia. Il favorito è il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano. L'imperativo è non ripetere l'errore Enrico Michetti. Nel centrosinistra il quadro è più complesso. In campo ci sono Alessio D'Amato, Marta Bonafoni e Daniele Leodori: sono pronti alle primarie, ma Letta ha frenato. C'è, parallelamente, il caminetto delle correnti dem che preme per Enrico Gasbarra, nome di sintesi e di pace. C'è però da risolvere prima il tema alleanze e il perimetro della coalizione. Il centrosinistra governa infatti oggi con M5S e Calenda e tutti si chiedono se lo schema si riproporrà alle urne. 

Quanto è fondamentale l'alleanza Pd - M5s per sfidare il centrodestra?

Con il centrodestra unito, la partita appare ad oggi sbilanciata e senza storie. Per rendere contendibile la regione per il centrosinistra è essenziale aggregare le due forze progressiste. Tuttavia non si commetta l'errore di sommare i voti raccolti il 25 settembre perché in politica non sempre 2+2 fa 4. 

Infatti per il M5S - lo hanno dimostrato questi 40 giorni di campagna elettorale - per crescere nei consensi è determinante essere forza anti sistema, d'opposizione. Da forza di potere invece le percentuali scendono e  il peso elettorale anche. L'alleanza con il PD in Regione quindi costa ai grillini, e tanto, e costringerebbe un rilanciato Conte a dover fare un passo indietro rispetto agli ultimi mesi. Altrettanto vero è che a Roma e nel Lazio i grillini hanno fallito il rilancio in questa tornata elettorale. Ed ancora più vero è che il M5S alle regionali, storicamente, non è stato mai competitivo, anche quando a livello nazionale, nello stesso giorno, si sfondava quota 32%. Conte e i suoi quindi berranno l'amaro calice. In cambio di cosa? Assessorati, certo, ma anche e soprattutto di punti centrali del programma, quelli sulla transizione ecologica su tutti. Possibile che chiedano di passare dalle primarie, proponendo un proprio candidato che potrebbe essere il dem Daniele Leodori (lui il regista dell'ingresso in giunta di Corrado e Lombardi, ndr) o un grillino di provata fede. 

Per il PD invece l'alleanza non è una scelta, ma un obbligo: senza M5S il partito di Letta direbbe addio anche alla Pisana e sarebbe la fine per tutto un sistema di potere. Tra l'altro, potrebbe anche non bastare il solo M5S. Necessari infatti, potrebbero essere i voti del terzo polo. Diciamo quindi che la questione perimetro delle alleanze, per i dem, trova una risposta senza via di scampo dalle urne di domenica. 

Il terzo polo cosa vuol fare da grande?

Le elezioni di Roma per Carlo Calenda sono stato uno straordinario volano mediatico, in grado di catapultarlo all'attenzione nazionale. Un successo, come testimoniano i numeri: è stata la prima lista a Roma. L'operazione terzo polo con Matteo Renzi è stata un pericoloso gioco politico che ha disorientato e non poco la base. Il 7,8% a livello nazionale nel Lazio arriva anche a picchi del 15% in singole zone, con una media del 9,5%. Voti importanti, in grado di orientare l'elezione di un presidente. Il voto regionale dirà cosa Calenda (e Renzi?) vuole fare da grande: proseguire con un progetto in solitaria, da far crescere nel tempo, relegandosi per il momento ad un ruolo di secondo piano, oppure trovare una collocazione precisa all'interno di uno dei due poli. Probabilmente il Lazio non è una priorità, ma una risposta Calenda dovrà darla in tempi brevi. 

A Roma il Pd regge, nel resto del Lazio no

A Roma ci si aspettava, in negativo, l'effetto Gualtieri. Le urne hanno raccontato invece un'altra storia, quella di un consenso che regge e che in alcuni casi aumenta. Così invece non è nel resto del Lazio dove si è registrato un autentico cappotto per la coalizione. Le regionali si vincono a Roma, è vero, ma Renata Polverini ha dimostrato nel 2010 come le altre province possano diventare decisive. Bisogna quindi contenere l'onda e per farlo la strada più immediata sembra essere quella di un candidato mediaticamente forte e riconoscibile, in grado di rosicchiare punti percentuale alla periferia dell'Impero. In tal senso nessuno dei nomi usciti appare così forte da far saltare il banco. 

L'incubo Michetti e i "soldati" impegnati altrove

Nel centrodestra la situazione, come detto, appare fluida. L'idea di Fratelli d'Italia, a cui spetta l'indicazione del presidente, è di pescare nella società civile. Così è stato per le comunali e la scelta di Michetti è stata un flop clamoroso, rinfacciato ancora oggi dagli alleati. Non si può fallire e il nome di Gennaro Sangiuliano appare in tal senso una garanzia. Fratelli d'Italia però per le regionali dovrà fronteggiare un problema, quello dei candidati da presentare nelle liste e da impegnare nella corsa. L'esplosione dei consensi ha portato gran parte della classe dirigente romana in Parlamento o in Europa. Oggettivamente rimangono pochissimi nomi forti ed il rischio è quello di ritrovarsi un partito che, ubriaco dei successi nazionali, metta in secondo piano la corsa per la regione. 

Il centrodestra è solo Fratelli d'Italia

Un rischio che diventa ancora più grande se si analizza il fatto che la coalizione di centrodestra è, ad oggi, molto "fdicentrica". La Lega a Roma è tornata ad essere irrilevante. Forza Italia è praticamente solo Antonio Tajani, i moderati non esistono e, se esistono, ballano cercando collocazioni civiche ambigue. Senza un impegno vero di Fratelli d'Italia la corsa si fa complicata, specie in un territorio come il Lazio permeato, dopo 10 anni di zingarettismo, da sistemi di potere fortemente indirizzati a sinistra. 

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