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MORTE DI HASSAN SHARAF

20enne trovato impiccato in cella, il racconto delle ultime ore di vita: "Preso a schiaffi dalla penitenziaria prima del suicidio"

Il carabiniere che ha indagato sul caso ripercorre in tribunale quanto ripreso dalle telecamere del carcere di Mammagialla. Due poliziotti della penitenziaria sono a processo: hanno colpito il detenuto Hassan Sharaf con uno schiaffo talmente forte da fargli sbattere la testa contro il muro. Poco prima si era procurato delle ferite al braccio

I tagli alle braccia, poi lo schiaffo in faccia da parte di un agente della penitenziaria che gli fa sbattere la testa al muro. Infine il suicidio. In un video, ripreso dalle telecamere del carcere di Viterbo, gli ultimi momenti di vita di Hassan Sharaf, il detenuto egiziano di 21 anni trovato impiccato nella cella di isolamento a due ore dall'ingresso. Era il 23 luglio 2018. Dopo una settimana in coma, il giovane morirà all'ospedale di Belcolle. Quel filmato, del circuito di sorveglianza interno di Mammagialla, ieri sarebbe dovuto essere mostrato durante il processo a due poliziotti della penitenziaria imputati per abuso di mezzi di correzione. Ma dopo la testimonianza di un carabiniere del nucleo investigativo di Viterbo, a cui la procura aveva delegato le indagini, il video è stato solo acquisito dal tribunale. La giudice Elisabetta Massini ha accolto la richiesta condivisa dalle parti (parti civili, pm, difesa e responsabile civile) che, esclusa questa occasione, sono state in disaccordo su tutto per tutta l'udienza.

Le ultime ore di vita di Sharaf

Hassan SharafAlle 13,25 del 23 luglio 2018 Sharaf entra nella cella di isolamento di Mammagialla, trascinando un grosso sacco nero. "Dal terzo piano del carcere, dove era stato recluso fino a quel momento - ripercorre il carabiniere -, scende apparendo tranquillo con un paio di sacchi con all'interno i suoi effetti personali, di cui fa poi una selezione lasciando i restanti in una stanza". Una volta in cella, la porta a grate viene chiusa dagli agenti. Il detenuto comincia ad agitarsi, sembrerebbe per la mancanza di sigarette, rimaste nel sacco finito in magazzino. Alle 14 Sharaf si provoca il primo dei numerosi tagli all'avambraccio sinistro. Due minuti dopo, uno degli agenti entra in cella e gli sferra uno schiaffo al volto, facendolo urtare con la testa alla parete. "Quando il poliziotto della penitenziaria gli dà lo schiaffo, il collega è lì vicino". Dalla cella viene poi portato via un secchio rosso, un cui frammento potrebbe essere stato utilizzato dal 21enne per ferirsi. Il secchio, così come altri oggetti, tra cui i sacchi con gli effetti personali, non saranno mai sequestrati.

Dalle 14,15 Sharaf tenta più volte di attirare l'attenzione degli agenti. "Lo ha fatto ogni volta che si è affacciato alla grata - riporta il carabiniere -. I poliziotti in più occasioni sono passati davanti alla cella e in alcune circostanze hanno interloquito con il detenuto. Finché il blindo, in un primo momento solo accostato, non viene definitivamente chiuso". La porta blindata viene chiusa alle 14,18 ma Sharaf tenta inutilmente di lasciare aperto lo sportello di ispezione. "Il blindo - afferma il militare - viene chiuso dopo che il detenuto, quando era solo accostato, lo aveva aperto chiedendo aiuto. Viene alzato anche lo spioncino, poi buttato giù da Sharaf. A quel punto viene serrato affinché non venga riaperto".

Alle 14,45 Sharaf viene trovato impiccato. "Un agente - ricostruisce il carabiniere - entra in cella per pochi secondi, presumibilmente per liberarlo. Poi esce, chiude la grata a chiave e si allontana a spasso spedito. Torna alle 14,47, riapre la grata ma resta fuori. Per poi andare via, questa volta, con apparente calma. Ritorna alle 14,48 con il rinforzo dei colleghi". Solo allora Sharaf sarebbe stato rianimato. "Le pratiche - sostiene il militare - non sono state immediate". Alle 14,50 arriva il personale sanitario dell'infermeria del carcere e alle 15,29 Sharaf viene portato all'ospedale di Belcolle dove arriva in fin di vita e dove muore una settimana dopo.

Le accuse

Uno degli agenti imputati è accusato di aver percosso "con uno schiaffo il detenuto con violenza tale da farlo urtare con la testa contro la parete della cella dove era detenuto in regime di isolamento". L'altro è invece accusato di aver omesso "qualsiasi azione per evitare che il collega colpisse, alla sua presenza, il detenuto e omettendo di relazionare sulla vicenda alla quale aveva assistito". Entrambi sono difesi dall'avvocato Giuliano Migliorati.

Suicida a 40 giorni dalla scarcerazione

Nel carcere di Viterbo Sharaf non avrebbe dovuto nemmeno più starci. Si trovava lì dal 19 gennaio 2018 per un cumulo di pena ma a maggio, finita di scontare una condanna per rapina, sarebbe dovuto essere trasferito in un istituto minorile per altri quattro mesi di reclusione per aver spacciato, quando era ancora minorenne, 10 euro di hashish alla stazione Termini di Roma. Invece resta a Mammagialla, dove si impicca a quaranta giorni dalla scarcerazione fissata per il 7 settembre. Il motivo? Una sanzione disciplinare applicata con quattro mesi di ritardo. "Gli era stata inflitta - ricorda il carabiniere - perché gli sarebbero stati trovati stupefacenti in cella, ma non è stata eseguita subito per mancanza di camere di pernottamento in isolamento. L'esecuzione è avvenuta solo dopo che una cella si è liberata".

In cella un graffito di matrice islamica

Morte di Hassan Sharaf - Immagine dalle telecamere di Mammagialla-2Nella cella di isolamento in cui Sharaf era stato recluso sarebbe poi stato trovato un graffito di matrice islamica, raffigurante un Kalashnikov con delle scritte in arabo inneggianti ad Allah. “Gli agenti della penitenziaria - dice il carabiniere - lo hanno ricondotto senza ombra di dubbio proprio a Sharaf, perché prima del suo ingresso non lo avrebbero rilevato e perché il ‘colore’ sarebbe stato ancora fresco”. Sarebbero stati fatti accertamenti anche su possibili affiliazioni del 21enne a cellule terroristiche, l’Isis su tutte, ma “non sono emersi collegamenti diretti o indiretti”.

Dito puntato contro le indagini

Gli avvocati di parte civile, i legali Giacomo Barelli e Michele Andreano, che rappresentano la madre, la sorella e il cugino di Sharaf, durante l'udienza hanno puntato il dito contro presunte lacune nelle indagini. “Non è stato fatto nulla e nulla è stato sequestrato”. Dall’oggetto con cui sarebbe stato realizzato il graffito, a quello impiegato per procurarsi i tagli sul braccio, fino a quello utilizzato per impiccarsi. Non si sa se sia stato un lenzuolo o un asciugamano. “Non c'è un verbale che dia conto di come sia stato trovato questo ragazzo", dice l’avvocato Andreano sottolineando che sia stata solo la polizia penitenziaria a effettuare il sopralluogo nella cella. I legali di parte civile, inoltre, hanno messo in dubbio anche la bontà del certificato con cui sarebbe stato autorizzato il trasferimento di Sharaf nella cella di isolamento.

Alta tensione tra le parti

Quella di ieri è stata un’udienza ad alta tensione: parti civili e procura si sono mostrate spesso su fronti diversi. Poi, rivolgendosi all’avvocato dello stato Giorgio Santini, che rappresenta il ministero della Giustizia, responsabile civile, il legale Andreano ha tuonato: “Questo è un processo anche al ministero, che ben sapeva che Sharaf era un soggetto fragilissimo e non poteva andare in isolamento. Mi sembra che solo la parte civile voglia giustizia. Un ragazzo non c’è più e io sono qui, a lottare contro tutto e contro tutti, per cercare di accertare la verità su cosa sia successo”. Immediata la replica dello stesso giudice: “In questa aula, come nel resto del Paese, facciamo questo tutti i giorni, tenendo ben presente che la legge è uguale per tutti. In questa aula non si è mai fatto finta di non vedere e sentire o è stato mai occultato qualcosa, ma ci atteniamo al codice penale”.

Le inchieste

Sulla morte di Sharaf indaga anche la procura generale di Roma, per omicidio colposo e tortura. Il caso è stato avocato contestualmente alla revoca della richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Viterbo che inizialmente aveva aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. A Perugia, invece, si procede per presunte omissioni della procura di Viterbo dopo le denunce del garante dei detenuti del Lazio. Il 21 marzo 2018, infatti, Sharaf avrebbe detto a Stefano Anastasia di essere stato picchiato da alcuni agenti della penitenziaria che gli avrebbero provocato lesioni su tutto il corpo e lesionato il timpano dell'orecchio sinistro perché non riusciva più a sentire bene e avvertiva "un fischio". Il 21enne avrebbe chiesto aiuto anche al garante nazionale. Entrambe i garanti compaiono nella lista dei testimoni della parte civile. Il detenuto, inoltre, avrebbe anche confidato a un compagno di sezione di avere paura di morire. Le sue accuse sulle presunte violenze sono state oggetto dell'esposto di Anastasia in procura.

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