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Domenica, 28 Aprile 2024
L'OPINIONE

Il termalismo senza imprenditori non decolla

Realtà come il Bullicame, simbolo della gestione pubblica, annaspano. La città chiede a gran voce la riapertura del Bagnaccio, ma senza investimenti il settore rischia la fine

L’apertura di Tuscia terme, il nuovo stabilimento termale sulla Cassia sud, ha riaperto un dibattito che a Viterbo va avanti da almeno vent’anni: quello sulla gestione del settore termale, fiore all'occhiello ma anche spada di Damocle per la città e l'intera provincia. A riaccendere la polemica sono stati i prezzi d'ingresso fissati dalla società che gestisce il sito, da alcuni giudicati troppo alti. E così, a catena, sui social una parte dei viterbesi è tornata con forza a caldeggiare l’utopia di un “collettivismo termale”, che in parole spicce significa prezzi popolari se non ingressi liberi e gratuiti. Ma questa, appunto, è una chimera. Un sogno irrealizzabile per una serie di motivi, in primis per quello più banale: senza investimenti, il termalismo non decolla. 

Realtà come il Bullicame, emblema della gestione pubblica delle risorse termali, continuano ad annaspare nonostante i piani di rilancio sbandierati nel corso degli anni. E in ogni caso, al Comune sono serviti quasi cento anni per decidere di mettere mano finalmente a un’irrisoria fetta di bilancio per dare un minimo di dignità e accoglienza all’area del Bullicame, dotandola di servizi che dovrebbero essere basilari come i bagni pubblici, un’area ristoro e un parcheggio dignitoso dove far sostare le auto degli utenti. Per non parlare delle terme Inps, ormai chiuse dal 1992 e mai più riaperte, tantomeno riqualificate. Poi ci sono le cosiddette pozze nascoste, sparse qua e là per il suolo cittadino. Si potrebbe discutere ad esempio di quelle nella zona di Castel d’Asso, che - chiunque ci abbia messo piede lo sa benissimo - faticano davvero a rispettare gli standard minimi in materia igienico sanitaria. 

Da una parte dunque abbiamo le terme libere, nella migliore delle ipotesi sprovviste dei servizi essenziali e nella peggiore del tutto abbandonate o nel degrado assoluto. Questo, ovviamente, per esclusiva mancanza della parte pubblica, dunque il Comune. Dall’altra, invece, ci sono le strutture private, come le Terme dei papi, le Terme salus, la Corte delle terme, le Terme oasi e le neonate Tuscia terme. Qui per entrare si paga un biglietto, caro o accessibile a seconda delle disponibilità economiche di ognuno, ma i servizi ci sono e, in più, ci sono anche quelli extra come ad esempio la spa o altri trattamenti curativi certificati. Le terme private, al netto delle osservazioni soggettive sui prezzi, costituiscono una buona fetta del turismo e generano un indotto economico che, spesso, ricade anche sul resto della città. Per non parlare degli effetti occupazionali, con decine di dipendenti e le rispettive famiglie che beneficiano di un lavoro stabile. Infine, va dato atto che, grazie agli investimenti, è stato possibile anche riqualificare e convertire a uso turistico-ricettivo delle aree che altrimenti sarebbero deserte e desolate.

Il dato di fatto è che, senza le strutture private, il termalismo faticherebbe a decollare. Basti paragonare i dati relativi all’accesso negli stabilimenti termali privati a quelli delle terme pubbliche. Il confronto, checchè se ne dica, è impietoso. Questo a causa delle carenze delle pozze in mano alla collettività e alla differenza di offerta con quelle private. Gli imprenditori che nel corso degli anni hanno dato vita alle strutture a pagamento, inoltre, hanno investito complessivamente milioni di euro nei progetti, finanziando anche le casse comunali. Il problema, semmai, è che questi introiti non sono stati poi impiegati correttamente dal Comune, che li ha accumulati senza avere la minima idea di come investirli a sua volta nelle terme pubbliche. Si potrebbe dire, senza timore d’incorrere in un abbaglio, che con i soldi impiegati dagli imprenditori del termalismo, se solo lo avesse voluto, palazzo dei Priori avrebbe potuto dotare siti come il Bullicame e le piscine Carletti di servizi e comfort di cui l’utenza avrebbe goduto gratuitamente. E invece, come si evince dai fatti, così non è stato.  

Mancanza di progettualità da parte dell’amministrazione comunale, dunque. Ma non solo. Viterbesi e turisti, come detto, richiedono a gran voce la riapertura del Bagnaccio, stabilimento chiuso nel 2022 a causa di alcune opere abusive. Lì, sulla Cassia nord, sorgeva quello che da tutti viene tutt’ora esaltato come il sito termale più gettonato ed economico. Una sorta di via di mezzo tra le terme collettive e quelle private, insomma. Ma, come ammettono gli stessi imprenditori, un ostacolo allo sviluppo del termalismo viterbese è rappresentato dalla guerra tra i proprietari degli stabilimenti. Un concetto espresso a chiare lettere da Fabio Belli, della società Freetime, quella che gestisce le neonate Tuscia terme: “Il problema - ha detto nel giorno dell’inaugurazione riferendosi alle lungaggini burocratiche che per oltre vent’anni hanno stoppato il progetto - è che c’era una cappa a bloccare la nostra iniziativa. Riteniamo che questo debba finire una volta per tutte e stiamo già cercando di organizzare con tutte le società che hanno la concessione una collaborazione, perché la Tuscia puó essere una destinazione turistica grazie al termalismo”. Belli è stato ancor più eloquente, pur senza fare riferimenti: “A Viterbo purtroppo c’è chi si crede di essere l’imperatore o il faraone del termalismo, ma l’ultimo faraone io credo sia morto almeno 2mila anni fa”. A ViterboToday, prima dell’inaugurazione, l’imprenditore aveva anche citato una parola molto importante, monopolio: "Vogliamo rompere col passato, vogliamo dire con forza stop al monopolio. Viterbo, secondo la nostra visione, deve essere una città turistica in cui il termalismo è un volano economico da sostenere. Siamo pronti a collaborare con i vari soggetti che hanno concessioni e subconcessioni senza che nessuno si sente un imperatore o un Dio sceso in terra".

Le parole di Belli non sono affatto scontate, anzi, rappresentano forse il nocciolo dell’annosa questione e riguardano anche quelli che sostengono la gestione collettivista dei siti termali. Il settore, attualmente, è ricco di attori ma lontano da un vero sviluppo, così come è lontanissimo da un'unione comune di intenti per creare quel famoso brand di cui tanto si parla, quello di "Viterbo città termale". La soluzione per rendere ancor più competitive le strutture private, ma è anche l’occasione per rilanciare quelle pubbliche, sempre meno appetibili sul mercato. Se davvero si riuscisse a creare il marchio di una città termale nel capoluogo, attraverso la collaborazione tra le varie società attive nel comparto, allora sì che si potrebbe pensare a colmare il gap con altre realtà italiane ed estere. Altrimenti, non sembra esserci alternativa. "Se pensiamo - chiosa Belli - di vivere in un monopolio, perderemo posti di lavoro, soldi e turisti". Ben venga, dunque, questa sorta di rappacificazione tra tutte le imprese operanti nel settore termale, affinché Viterbo possa dire la sua in Italia e magari, senza troppe pretese, nel mondo.

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