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VOGLIA DI SECESSIONE

Il "gruppo politico" che vuole annettere Viterbo alla Toscana

Un comitato promuove la separazione della Tuscia dal Lazio e si dichiara pronto a chiedere un referendum. Un'idea già lanciata nel 2015 dal Pd

Se Tarquinia e Monte Romano valutano la secessione dalla Tuscia, allora la Tuscia valuta la secessione dal Lazio e l'annessione alla Toscana. Ebbene sì, è tutto vero. Ma a differenza della separazione dei due comuni del litorale, che vogliono formare la sesta provincia del Lazio (“Porta d’Italia”, con capoluogo Fiumicino), il progetto per staccare la provincia di Viterbo dalla regione d'appartenenza è ancora in fase embrionale, quasi primordiale. Intanto, nei giorni scorsi, sui social, è nata una pagina dal nome eloquente: “Viterbo annessa alla Toscana”. L'obiettivo è chiaro, anzi, chiarissimo: “Gruppo politico che si prefigge l'annessione della provincia di Viterbo alla Toscana, come previsto dall'articolo 132 della Costituzione italiana”. Esattamente lo stesso articolo a cui si rifanno i 12 comuni della costa tirrenica viterbese e romana che vogliono creare la loro provincia autonoma, come teorizzato dall'ideologo dell'operazione Enrico Michetti, ex candidato sindaco di Roma. 

Il manifesto dell'annessione dei territori viterbesi alla regione del Chianti e della fiorentina è già stato lanciato. "Il presente comitato - spiegano - composto da viterbesi e da toscani, si prefigge di indire nei prossimi anni un referendum per l'annessione della provincia di Viterbo (oppure singolarmente dei 60 dei comuni che volessero) alla Toscana". Ai più potrebbe sembrare una mossa goliardica, da toscanacci, per l'appunto. Ma per il gruppo secessionista non lo è affatto. "Un'opinione peregrina? No, con questa operazione Viterbo si inserirebbe nel contesto di una regione ricca quale la Toscana, che ha un residuo fiscale di quasi 8 miliardi - non milioni - di euro e che ha un brand conosciuto in tutto il mondo". E i benefici quali sarebbero? "Prima di tutto essere annessi al pezzo d'Italia che funziona, che produce, che macina Pil. Essere, poi, annessi a una regione che tutto sommato funziona, con un solide finanze, riunire finalmente la Maremma sotto un'unica bandiera. Godere, come detto, del marchio Toscana, conosciuto in tutto il mondo". C'è un sapore irredentista in tutto ciò, come conferma lo stesso comitato, ma anche un ragionamento turistico: "Sotto Roma, Viterbo vive in contumacia ottenendo le briciole dal turismo capitolino, che tratta tutti gli altri laziali come dei pezzenti o, peggio, dei burini. Pensiamo alla Macchina di santa Rosa inserita nel poker d'assi che solo la Toscana può offrire: Lucca, Pisa, Firenze, Siena e Viterbo".

Secondo i separatisti, non ci sono nemmeno barriere linguistiche. "È evidente - ammettono - che a Viterbo non si parla toscano, anche se a Bagnoregio è presente la celeberrima gorgia toscana, ma i confini sono più sfumati. Lo stesso romanesco di città è frutto della toscanizzazione del vernacolo dell'Urbe, tanto che alcuni linguisti lo considerano come un sottotipo di dialetto toscano. Inoltre c'è da sottolineare che sotto l'Albegna, già parlate tosco-romanesche si vanno progressivamente toscanizzando per l'influsso del toscano e dall'amministrazione toscana (il toscano è percepito dai parlanti come più prestigioso). È probabile, anzi auspicabile, che accada il medesimo con Viterbo, ovviamente nel corso degli anni e dei decenni". Un'operazione, quella dell'annessione, che nasce dal sogno di rispolverare gli antichi fasti. "Ora ci dichiariamo candidamente: vogliamo Viterbo riunita nella regione Etrusca (Toscana), che si torni finalmente all'antico Ducato di Tuscia longobardo, prima, e franco poi".

In realtà, al netto delle legittime ironie e dei sacrosanti dubbi che le parole del comitato stanno suscitando, va detto che l'annessione della Tuscia alla Toscana non è un'idea per niente nuova. Già nel 2015 il Partito democratico, allora al governo e nel pieno del Renzismo, propose al parlamento la riforma delle Regioni, con la diminuzione degli enti dai 29 attuali a 12 nell'alveo della mai decollata semplificazione amministrativa. Il progetto era quello di ridurre le aree regionali e accorparle per omogeneità, per "storia, area territoriale, tradizioni linguistiche e struttura economica". Il tutto non per risvegliare la voglia d'unità delle popolazioni discendenti dagli etruschi, bensì dettato dal Dio denaro. Già, perché la riforma venne pensata per risparmiare risorse economiche e diminuire la burocrazia. Nei pensieri dei deputati dem, tra cui Ranucci e Morassut, c'era l'intento di staccare la provincia di Viterbo dal Lazio, che sarebbe scomparso, per appiccicarlo alla Toscana e all'Umbria nella "Regione appenninica". Roma, la Capitale, sarebbe rimasta da sola insieme alla sua provincia, mentre Rieti sarebbe stata schiaffata insieme a Marche, Abruzzo e una parte del Molise nella "Regione adriatica". A Frosinone e Latina, invece, sarebbe toccato l'accorpamento alla Campania. 

Come evidente, visto che tutt'oggi Viterbo è ancora parte del Lazio, il progetto naufragò assieme al governo Renzi, finito alla deriva dopo l'esito dell'ormai famoso referendum costituzionale del 2016. Questo nonostante i promotori della riforma calcolarono un risparmio di circa 2 miliardi di euro, di cui 400 milioni relativi al taglio degli stipendi dei consiglieri regionali. La storia di accorpare la Tuscia alla Toscana, dunque, come si dice dalle parti di Firenze, è vecchia come il cucco.

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